Uwe Rosenberg.

Per chi si è immerso nel magico mare del gioco da tavolo dopo lo SPIEL07 (e ormai sono passati 7 anni!) ben sa che al nome dell’autore è collegata una serie di corposi giochi basati sulla meccanica di piazzamento lavoratori. Durante la sua evoluzione (partita da Agricola e, passando attraverso Le Havre, Ora et Labora, Caverna, arrivata a Fields of Arle) questo modello di gioco ha progressivamente abbandonato ogni traccia di componente aleatoria (che, si sa, è un potente allergene per tutti gli autoproclamati “hard gamer”) in favore di un albero delle decisioni sempre più vasto (e che tocca il suo apice proprio con “Fields of Arle” dove il primo giocatore, alla prima mossa, può scegliere fra 29 diverse opzioni).
Tuttavia c’era un tempo in cui l’autore si dedicava a giochi brevi e lineari, costruiti attorno ad una brillante e semplice idea, che riuscivano comunque a magnetizzare l’attenzione dei giocatori: a me piace ricordarlo così, e sono stato quindi oltremodo lieto di sapere che Patchwork era stato pubblicato…

Gioco astratto per 2 giocatori, della durata indicativa di 20-30 minuti, “Patchwork” (Lookout Games, Mayfair Games, Uplay.it Edizioni, 2014) mescola tutta una serie di meccaniche e ingredienti ben noti per ottenere un prodotto fresco e interessante.

Il gioco
Patchwork time trackScopo del gioco è coprire nel modo più redditizio possibile un quadrato di 9 caselle di lato utilizzando dei polimini (figure geometriche piane composta da un numero finito di quadrati ottenibili l’uno dall’altro mediante traslazione, con ognuno di essi che ha almeno un lato in comune con almeno un altro quadrato… avete presente i pezzi del Tetris?), accumulando nel contempo i “bottoni” che altro non sono che i punti vittoria del gioco.
All’inizio della partita i polimini vengono distribuiti casualmente a cerchio, attorno alla plancia del tempo; viene quindi collocato fra i pezzi una pedina neutrale segnaposto. Quando arriva il suo turno, il giocatore attivo può acquistare uno dei tre polimini più vicini (in senso orario) al segnalino neutrale, oppure passare la mano. Nel primo caso sposta il segnalino neutrale al posto del pezzo comprato,  piazza la tessera sulla propria plancia (rispettando le classiche regole di non sovrapposizione e rispetto dei limiti) e ne paga il costo (in tempo e bottoni, avanzando il proprio indicatore sull’omonimo percorso e restituendo i bottoni alla banca). Se passa, avanza il proprio segnalino sulla traccia del tempo fino a superare il segnalino dell’avversario, e guadagna tanti bottoni quante sono le caselle coperte dal movimento.
I turni di gioco non sono alternati, ma seguono il percorso del tempo: chi dei due giocatori è più indietro sul percorso ha diritto a giocare un turno: è possibile che un giocatore compia più turni in successione. La traccia del tempo regola sia la durata del gioco (che finisce quando entrambi i giocatori la hanno percorsa integralmente) che l’erogazione di due tipi di bonus, attivati quando la pedina del giocatore supera determinati traguardi: i bottoni (che fanno guadagnare al giocatore tanti bottoni quanti sono quelli visibili sul proprio patchwork) e le pezze (che danno al primo giocatore che le supera una tessera da un quadrato da piazzare subito). Un bonus aggiuntivo di 7 punti (da riscuotere a fine partita) viene attribuito al primo giocatore che ricopre completamente un quadrato di lato 7 dentro la propria plancia.

A fine gioco, ogni spazio lasciato vuoto comporta un penalità di 2 punti vittoria, mente ogni bottone accumulato ne vale 1.

Le impressioni
Premessa: chi cerca nei giochi la meccanica nuova può tranquillamente tenersi alla larga da Patchwork. Praticamente tutte le struttura di base su cui è costruito il gioco sono già state sfruttate in altri titoli più o meno famosi e/o recenti. Il meccanismo di draft di pezzi disposti in cerchio, limitato nell’estensione da una pedina mobile è stato già utilizzato dal Dottore in “Bunte Runde” (Reiner Knizia; Winning Moves, 2005 – brillante gioco di collezione di set “bidimensionale”); la Time Track, introdotta contemporaneamente da Peter Prinz in “Jenseits von Thebes” (Prinz Spiele, 2oo4) e da Peter Eggert e Tobias Stapelfeldt in “Neuland” (Eggertspiele, 2004), è stata poi utilizzata ripetutamente e con successo, ad esempio in “Tinners’ Trail” (Martin Wallace, Treefrog, 2008), “Glen More” (Matthias Cramer; Alea, 2010), “Sun, Sea & Sand” (Corné van Moorsel; Cwali, 2010) o “Tokaido” (Antoine Bauza; Aterion Press, Funforge, 2012). Non parliamo poi di polimini: rimanendo nel campo dei giochi puramente astratti, impossibile non ricordare almeno “Cathedral” (Robert P. Moore; Gigamic, Mattel, 1978), “Blokus” (Bernard Tavitian; Mattel, Piatnik, 2000), “Ubongo” (Grzegorz Rejchtman; Giochi Uniti, Kosmos, 2003) e “FITS” (Reiner Knizia; Ravensburger, 2009).

Patchwork plancia personale

D’altronde, a volte l’intero è più della semplice somma delle parti, e Patchwork risulta comunque un prodotto molto interessante. Come è facile rendersi conto, il gioco gravita attorno a 3 valute: i bottoni, gli spazi vuoti sulla propria plancia, il tempo. Risulta opportuno notare come il ruolo di tali valute sia differente: due (bottoni e spazi vuoti) compongono il punteggio finale (con peso differente, dato che i bottoni valgono uno e gli spazi 2) e quindi in criterio per determinare il vincitore, due (tempo e bottoni) compongono il costo di acquisto delle tessere, una sola (il tempo) la fine della partita. Ogni tessera, quindi, è un baratto di potere coprente in cambio di punti vittoria e consumo di tempo. Ciò che rende dinamico ed interessante il gioco è che, grazie al gettito di bottoni ottenuto attraversando i traguardi, i valori delle tessere cambiano dinamicamente durante lo svolgimento della partita, alcune svalutandosi (quelle che costano molto ma hanno tanti bottoni, come quelle di forme poco adattabili), altre rivalutandosi (quelle che non hanno nessun bottone, ma sono di piccole dimensioni/costi contenuti): per chi conosce bene Puerto Rico, è qualcosa di analogo al valore relativo che denaro e punti vittoria assumono durante la partita.
L’altro elemento notevole del gioco è il fatto che l’influenza della (tutto sommato poca) componente di interazione fra i giocatori risulta comunque determinante nella partita: si impara presto che è impossibile vincere senza controllare quali sono gli acquisti che l’avversario può compiere; cercare esclusivamente di massimizzare la qualità delle proprie scelte, abbandonando l’opportunità di ostacolare quelle dell’avversario, porta di solito poco lontano. Da questo punto di vista, limitare a 3 pezzi il raggio di scelta è un vero e proprio toccasana: riduce la paralisi da analisi, permette di avere un quadro sufficientemente chiaro per previsioni sui prossimi due turni, mentre rende gradevolemente opaca la situazione a lungo termine. Tutto questo ad un costo, ovviamente: quello che si possano presentare situazioni in cui il gioco va da sé, nel senso che la scelta ottima risulta praticamente scontata. Un difetto tutto sommato tollerabile, se una partita intera non supera la mezz’ora.

Non un vero capolavoro, quindi, ma un ottimo filler per due giocatori, e un graditissimo ritorno di Rosenberg a nuovi giochi rapidi e coinvolgenti. Era dai tempi di “Bonhanza” (1997), “Mamma Mia” (1999) e “Babel” (2000) che non sucedeva.

Quasi dimenticavo: ad ulteriore riprova della qualità del gioco, Patchwork ha vinto il 2014 Golden Geek Best Abstract Board Game Award, e compare fra i giochi degli di menzione nelle recenti nomination per lo Spiel des Jahres 2015.