“Sherlock Holmes consulente investigativo” di Raymond Edwards, Suzanne Goldberg e Gary Grady (edizione originale Sleuth Publications, 1981; riedizione Ystari Games, Asterion Press, 2011): un’idea brillante per un gioco decisamente fuori dagli schemi. Un gioco di narrazione condiviso, un libro game collaborativo, un murder party senza attori, difficile collocarlo in una precisa categoria. Sherlock Holmes è l’incarnazione del gioco investigativo con il pregio di saper ricreare appieno, grazie alle sue storie e a una localizzazione di pregio, il sapore della Londra vittoriana.
Due grandi pregi sono il suo punto di forza: la possibilità di giocarlo ovunque e la totale assenza di scadenze. In poltrona, sul divano, in spiaggia, passeggiando, interrompendo e riprendendo successivamente, ogni momento è buono per fare ipotesi e congetture godendosi la paralisi da analisi come fosse un balloon di distillato pregiato.
Il suo limite più grave è quello di essere un gioco “usa e getta”, non tanto perché i casi nella scatola sono limitati a dieci, a questo ovvierà, si spera, la localizzazione delle espansioni già pubblicate in altre lingue, il vero dispiacere è quello di non poter rigiocare un caso per tentare di fare meglio o per riproporlo ad un diverso gruppo di amici. Limite che però gli si perdona perché sposta l’attenzione non tanto sul massimizzare il proprio punteggio ma sul divertimento che procurano un paio d’ore passate in buona compagnia chiacchierando di qualcosa che solletica finalmente e in modo decisamente originale le nostre celluline grigie.