“Glass Road” di Uwe Rosenberg (Cranio Creations, Feuerland Spiele, Z-Man Games, 2013). Domanda a bruciapelo: secondo voi può funzionare un gioco di produzione e trasformazione risorse (questa volta sono “soltanto” otto, di cui due “lavorate” e sei “primarie”) in cui entra in gioco solo una minima frazione degli edifici di trasformazione e di valutazione finale, senza che questi siano noti fin dall’inizio della partita, così che in pratica non saprete dove andare a parare fino alla metà del gioco?

Witch’s Brew (BoardGameGeek)

Il più grande merito di Rosenberg in Glass Road è di aver realizzato quello che a prima vista sembrerebbe impossibile: tutto nel gioco sembra discordante e autoantagonista. Innanzitutto si tratta di un gioco breve: una partita dura circa 20 minuti per giocatore, quattro miseri turni. Il numero di azioni che un giocatore compie in un turno non è noto a priori: rielaborando un sistema di selezione di ruoli che ricorda quello di Witch’s Brew di Andreas Pelikan (Alea, Rio Grande Games, Uplay.it Edizioni, 2008), ogni giocatore, può effettuare un numero di azioni variabile da 3 mezze azioni (caso più infelice) a 3 azioni intere più altre due metà (caso più “fortunato”). Un ulteriore puzzle è fornito dalla ruota di produzione pesonale, che produce automaticamente materiale lavorato tutte le volte che c’è sufficiente materia prima, rischiando così di privare i giocatori di alcuni beni necessarie per la costruzione. Ovviamente dovete dimenticarvi del controllo totale, e cercare, dando uno sguardo alla plancia dei vostri avversari, di indovinare quali sono i ruoli che essi selezioneranno, così da poterli ostacolare e contemporanemante guadagnare un po’ di spazio di movimento.

Non vi aspettate un nuovo Ora et Labora o un nuovo Le Havre: Glass Road è un gioco rapido, una sorta di super filler (anche se ha una curva di apprendimento tutt’altro che accessibile), che funziona ottimamente in due, sia per la durata breve che per la ridotta caoticità del metodo di selezione (che ovviamente cresce esponenzialmente con il numero di giocatori). Insomma, ricorda un poco i titoli “minori” di Rosenberg, come At The Gates of Loyang o Merkator.