“Canterbury” di Andrew Parks (Quixotic Games; 2013): pubblicato grazie al crowdfunding, sebbene sia riuscito ad ottenere un sufficiente numero di “investitori” per dare vita al progetto, non pare sia andato molto lontano una volta portato sul mercato. Basato su una meccanica di costruzione edifici con lo scopo di ottenere la maggioranza per il controllo dei 25 quartieri disponibili, il suo essere astratto lo rende freddo e poco coinvolgente, ed in questo senso anche l’ambientazione, altrettanto asciutta, e la grafica, molto essenziale, non aiutano. A suo vantaggio la semplicità delle regole, che si spiegano in poco e con cui è facile prendere presto confidenza, e la durata contenuta. I primi turni sono lenti e un po’ ripetitivi ma quando il ritmo della partita incalza ci si ritrova a giocare l’ultimo round in men che non si dica.
Colpisce il fatto che gli autori-editori dichiarino che il gioco abbia preso ispirazione da alcuni videogiochi, quelli di tipo manageriale-strategico in tempo reale come Caesar III o Sim City. In questi il sistema di gioco è incentrato sulla creazione di una città: implementandone i vari servizi necessari, la città poco per volta si evolve, raggiungendo livelli di prosperità, ricchezza ed espansione sempre maggiori.
Allo stesso modo in Canterbury la costruzione degli edifici disponibili, seguendo l’interessante regola per cui i sei servizi essenziali (acqua, cibo, religione, sicurezza, ricchezza e cultura) devono sempre essere forniti rispettando questa sequenza d’ordine, consente la trasformazione da semplice città a capitale. Peccato che questa dinamica, resa molto bene visivamente dai videogiochi citati sopra, poiché si assiste alla trasformazione di ogni edificio in costruzioni di sempre migliore fattezza e cura, nel gioco da tavolo invece si traduca nella mera collocazione di edifici e dei relativi cubetti nelle zone adiacenti o limitrofe a quella di costruzione, con la scomodità di dover porre particolare attenzione a dove e come si piazza per non commettere errori o per non trascurare importanti dettagli.
Insomma, una trasposizione da videogioco a gioco da tavolo interessante dal punto di vista della meccanica ma nel complesso non proprio così degna di nota, se non altro perché a chi quei videogiochi li conosce non ha fatto altro che far tornare la voglia di passare qualche ora di divertimento davanti al monitor del pc.
Canterbury non è l’unico esempio di contaminazione con il mondo dei videogame. Ci sono casi in cui si è osato molto di più, arrivando ad avere vere e proprie trasposizioni dal video al tavolo, basti pensare a titoli come i famosi Star Craft e War Craft, per esempio, ma anche Age of Empires, The Incredible Machine e diversi altri.
Grazie Paola. Dopo averne sentito tanto parlare intorno ad Essen nessuno l’ha più nominato. Ora mi hai fornito possibili motivazioni…