“Amerigo” di Stefan Feld (Queen Games, Arclight, 2013). Annata prolifica per Stefan Feld, il 2013, in cui ha visto pubblicati ben quattro titoli, di cui il più imponente (per le dimensioni della scatola) è sicuramente Amerigo. Nato da un concorso appositamente pensato per rinnovare (o forse è meglio dire riciclare) la meccanica della “torre dei cubetti”, è il primo gioco ad utilizzarla che non abbia tema bellico. Come è tradizione della casa editrice, i materiali sono di ottima qualità.
Amerigo è un gioco di esplorazione, piazzamento tessere e collezione di set che mescola le meccaniche del gioco german che l’autore è solito utilizzare. La novità risiede nella torre (per chi non la conoscesse, una sorta di lanciadadi con dei setti che trattengono temporaneamente al suo interno parte dei materiali -cubetti colorati- che vengono lasciati cadere nella sua imboccatura) utilizzata dall’autore per limitare la scelta delle azioni disponibili ai giocatori in ciascuna delle fasi del turno. Una partita dura 5 turni, divisi in 7 fasi. In ogni fase vengono presi i cubi disponibili di un determinato colore (ad ogni colore è associata un’azione) e vengono gettati nella torre. Parte di quei cubi esce dalla torre, trascinandosi solitamente dietro qualche cubetto di altri colori: i colori usciti indicano le azioni disponibili, mentre il numero più grande di cubi dello stesso colore indica la “forza” con cui ciascuna delle azioni potrà essere eseguita. Le azioni sono il naturale motore che permette di accumulare punti vittoria: usando la navigazione è possibile esplorare le isole e aprire stazioni commerciali (che fruttano punti vittoria se edificati nelle isole ancora inesplorate); il progetto e la costruzione sono i due passi con cui ci si procurano e si erigono gli edifici sulle isole (ottenendo subito beni e punti vittoria, con un’aggiuntiva valutazione che ha luogo quando l’isola è completamente edificata – in barba ad ogni sentimento ecologista); col progresso si ottengono gli sviluppi, necessari per rendere più efficiente le proprie strategie, mentre i cannoni vi permettono di difendervi dai pirati (evitando di perdere punti vittoria alla fine del turno) e l’acquisto di risorse alimenta la componente di collezione di set del gioco. Esiste una settima azione che permette di alterare l’ordine di turno o di eseguire una delle azioni precedentemente determinate. Alla fine del quinto turno una valutazione finale permette di determinare il vincitore.
Le impressioni
Amerigo scorre piacevole, rilassato, senza quelle sensazioni di oppressione e smarrimento a cui ci ha abituato Stefan Feld nei suoi titoli maggiori. Senza ombra di dubbio, rientra nella categoria di giochi classificati col nomignolo “insalata di punti”: a tutti gli effetti, non c’è niente nel gioco che non fornisca un ritorno di punti vittoria durante o alla fine della partita. Il gioco propone un ritmo naturale, da cui i giocatori possono provare a sfuggire per usufruire delle occasioni offerte dal gioco per rastrellare un discreto gruzzolo di punti vittoria. Purtroppo l’imprevedibilità della torre (sì, è vero, si possono contare esattamente tutti i cubi in essa intrappolati, ma questo serve solo a ragionare in negativo -ovvero a determinare quali mosse saranno sicuramente non disponibili- mentre non dà nessuna certezza sulle azioni che invece lo saranno) obbliga a ragionare in modo quasi esclusivamente tattico, e nemmeno le varie tessere progresso (che tendono a potenziare un’azione se disponibile) aiutano a modificare l’approccio, invitando casomai a differenziare le proprie mosse da quelle dei giocatori (aspettatevi di effettuare tutti le stesse scelte all’inizio della partita, semplicemente perché risulterà evidente quale sia la scelta ottimale).
Una nota sulla durata: probabilmente 5 turni sono troppi, al punto che molte delle azioni diventano sostanzialmente inutilizzabili alla fine del gioco: tutte le isole sono esplorate, la maggior parte degli edifici progettati, le tessere risorsa acquistate ben prima che vengano lanciati i cubetti della corrispondente azione, i segnalini sul tracciato del progresso raggiungono spesso l’ultima casella. Detto in altri termini, il gioco offre una coperta fin troppo lunga, che non rende sofferta nessuna decisione, togliendo ogni brivido dall’ultimo turno e allungando inutilmente di una ventina di minuti la partita.
Tirando le somme, le scelte libere e significative da effettuare non sono moltissime, sopratutto se confrontate con la durata del gioco: siamo davanti ad una sorta di “superfiller”, attraente, adatto ad un pubblico vasto, dato che si spiega facilmente e che diverte, ma non impegna. Da una scatola così imponente, era lecito aspettarsi qualcosa di più.