La figura del dottor Reiner Knizia è stata sicuramente una delle più influenti nel mondo dei giochi “german”, almeno nel periodo che va dagli anni ’90 al primo lustro del nuovo millennio: titoli come Modern Art, Ra, Tigris & Euphrates, Samurai, Through the Desert, Lord of the Rings, Taj Mahal, Lost Cities, Amun Re, Blue Moon e Ingenious meritano di essere giocati almeno una volta, anche dagli “scettici”.
Due lauree, in matematica ed economia, una grande capacità di ideare meccaniche perfettamente funzionanti ed equilibrate (non sempre supportate da buone ambientazioni), Knizia dichiara da sempre di non aver tempo per giocare ai giochi ideati da altri autori, impegnato come è a sviluppare i suoi (più di 500 titoli editi negli ultimi 25 anni, con un’impressionante media di 20 giochi l’anno): la sua è una produzione dichiaratamente nata e cresciuta “nel vuoto”.

Age of War (Fantasy Flight Games, Giochi Uniti, Heidelberger Spielverlag, 2014) è un gioco per 2-6 giocatori, dai 14 anni su (più che altro per motivi legislativi degli USA), della durata dichiarata di 20 minuti. Nella piccola scatola trovano posto il manuale, 14 carte quadrate raffiguranti altrettanti castelli, 7 dadi speciali.

Il gioco
AgeofWar_1Dopo una preparazione brevissima (disporre le 14 carte al centro del tavolo), il gioco si sviluppa a turni, in cui il giocatore attivo cerca di conquistare un castello. Dopo il primo lancio di dadi, il giocatore sceglie quale castello attaccare. Ogni castello riporta una o più righe (le linee di battaglia) che riportano uno o più simboli. Ad ogni lancio, il giocatore deve soddisfare completamente una delle linee di battaglia, piazzando sulla carta del castello i dadi i cui simboli soddisfano la richiesta; se il lancio effettuato non ha simboli sufficienti, può rilanciare i dadi, ma ne deve prima scartare uno. Il procedimento viene ripetuto finché tutte le linee di battaglia sono state occupate (e allora il giocatore prende il controllo del castello e passa il turno al giocatore successivo) oppure non si hanno più dadi per completare la conquista, e la mano passa comunque al giocatore successivo. Si possono attaccare sia i castelli presenti al centro del tavolo che quelli già conquistati dai giocatori: in questo caso si deve riepire un’ulteriore linea di battaglia. Tuttavia, se un giocatore riesce a conquistare tutti i castelli appartenenti allo stesso clan (colore), tali castelli diventano inattaccabili e forniscono un punteggio bonus.
Il gioco finisce quando non ci sono più castelli conquistabili al centro del tavolo; chi ha totalizzato più punti vince la partita.

Le impressioni
Age of War rientra in quella categoria di giochi con lanci di dadi e prese a cui Knizia ha contribuito con alcuni titoli che hanno riscosso un certo successo (in particolare vale la pena ricordare Il verme è tratto/Pickomino e Sushizock). In questo titolo l’autore (complice forse la collaborazione degli altri sviluppatori, fra cui vale la pena citare Sebastian Bleasdale e Corey Konieczka!) reinventa il meccanismo di risoluzione delle carte Avventura de Il Segno degli Antichi/Elder Sign, eliminando tutti i fronzoli e le abilità speciali, e mantendo solo il concetto delle righe da riempire. Persino la distribuzione dei dadi è lasciata inalterata.
L’abilità dell’autore si vede nell’incentivare l’interazione fra i giocatori, dando loro la possibilità di rubare castelli già conquistati, e contemporaneamente evitare lo stallo rendendo statisticamente più difficile il furto rispetto alla “prima” conquista, così come nel dare degli obiettivi intermedi ai giocatori incentivandoli a collezionare i set di castelli dello stesso colore (il cui valore è maggiore della semplice somma dei castelli, garantendone inoltre l’inespugnabilità).
Come si comporta il titolo su strada? L’impressione avuta è che sia troppo lungo e in balia del caso: a metà della partita abbiamo cominciato ad auspicare che fosse finita.
L’obbligo di rilanciare i dadi ad ogni piazzamento limita fortemente anche il significato della scelta iniziale: è possibile scegliere il castello di cui si riesce a soddisfare la linea di battaglia meno probabile, ma poi si è in balia del caso. Se in 5 tiri di dado non riuscite ad ottenere quell’unico simbolo che vi serve per completare l’ultima riga rimasta, non ci potete fare nulla. Apparentemente, l’aver semplificato all’estremo il meccanismo utilizzato in Elder Sign, eliminando abilità speciali e quindi la possibilità di alterare la statistica dei simboli ottenibili, ha impoverito il gioco in maniera considerevole. Spostare, rispetto a Pickomino o Sushizock, la scelta dell’obiettivo a priori del completamento del lancio ha contribuito ad acuire il senso di frustrazione associato al fallimento.
Insomma, non mi sento di consigliarvi il gioco: se siete interessati alla meccanica, mi sento di indirizzarvi su Sushizock, che è il più breve e brillante tra i titoli del genere ideati da Knizia.